mercoledì 7 novembre 2012

Io mescolo tutto *

di Maria Rita Bentini


Prima del corpo, il colore (1). Prima del rosso, il bianco. Il cerchio si chiude, infine, nella precisione della forma e, ancora, nel bianco.

Gina Pane, Azione sentimentale, 9 novembre 1973, Galleria Diaframma a Milano.

Nelle istantanee di Françoise Masson l'artista ha un aspetto minuto e gentile, e nella messa a fuoco lo spazio vuoto le si stringe intorno. Occupa la scena vestendo jeans bianchi, camicetta bianca, scarpe da tennis bianche ("era come se venisse dalla luna", ricorda un amico). La fotografia , "constat d'action", è una forbice che recide e decanta il fluire continuo del corpo nell'azione. Pronuncia l'ultima parola corporale di quanto detto per esteso in un tempo e un luogo consumato per sempre, così da offrire agli occhi reliquie, più che residui: con gesti forti e sospesi, intarsiando scacchiere, l'artista compone l'immagine delle immagini.

Rose rosse sul candido monocromo degli abiti e, in controcanto, rose bianche sul bianco; braccia che si chiudono e poi si aprono. Dolore: le spine di rosa confitte nell'avambraccio sinistro, in sequenza come grani di rosario , o alberi sugli argini, in pianura. Sul palmo della mano una lama sottile incide, sfiorando la pelle, l'effigie di una rosa.

Con rigore, cura attenta dei dettagli e concentrata selezione, il movimento teso dell'action si allontana, condensando la sua forza nell'immagine – colore. Non è il rosso.

Graffiato dalle ferite, il bianco non si contrae nè retrocede. Rimbalza piuttosto e, dilagando nella pagina, in sottofondo abbagliante , si trasforma in partitura. Ospita l'altro, un corpo fragile, leso perchè vivo. Vulnerabile e ferito per incrinare un altro corpo, quello plurale, chiuso e anestetizzato, cui le individualità che compongono il suo pubblico appartengono, ignare forse.

Un foglio bianco era stato l'oggetto in campo per la prima azione di Gina Pane, Blessure théorique (1970), tre fotografie: una lametta taglia con rapida esattezza un foglio di carta, un foglio posto a terra, un polpastrello, alludendo con ciò alla scrittura, alla superficie della terra, alla pelle. Simbolicamente allora (non ancora carnalmente) il taglio "apre" e intacca la distanza tra l’io e il mondo, tra il sé e gli altri.

Poco dopo il latte, quando l'e blanche si unisce nel calore della bocca al rosso sangue delle ferite. Mater purissima, Mater castissima, Mater inviolata, Turris ebùrnea, recitano le invocazioni rivolte a tutt'altra Donna, e create per altri riti.

Tra le opere estreme dell'artista i mantelli, le vesti dei santi e dei martiri, bozzoli di pura geometria entro cui i corpi fisici sfiorano l'assenza. Chirurgicamente divisi, appesi come sudari. Non avvolgono più, con andamenti lievi , le anatomie risorte che si affacciano vittoriose sul sepolcro ormai vuoto, nei dipinti antichi.

Da un lato la trasparenza del vetro, la luce assoluta, la parola, dall'altro il colore. "Il bianco ha il suono di un silenzio che improvvisamente riusciamo a comprendere. E' la giovinezza del nulla, o meglio un nulla prima dell'origine, prima della nascita. Forse la terra risuonava nel tempo bianco dell'era glaciale" scriveva Kandinski con assunti che l'artista aveva da tempo distillati e trasgrediti.

Avviene allora l'ultimo passaggio da un corpo all'altro, un dono, una spartizione. Il manteau de Saint Martin pour pauvre et riche (1986-1987), con un gesto d'amore, unisce in sè la povertà del feltro con la ricchezza della luce. La materia si confonde, laica, con la sua trasfigurazione.

Appunto, mischiando tutto.


Note:

*Il 30 ottobre 1976, alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna, Gina Pane eseguiva un'azione intitolata Io mescolo tutto. In uno spazio rettangolare bianco due modelli reali, uno maschio e l'altro femmina, si lanciano una pallina "funzionando quasi da metronomo vivente". L'artista vestita di bianco, con pantaloni e scarpe da tennis entra e si siede in uno sgabello da bar. Ha gli occhi coperti da una mascherina, si dondola avanti e indietro, sembra perdere l'equilibrio, cadere. Chi registra l'azione con la cinepresa e la macchina fotografica invade lo spazio dell'azione. Gina Pane si dirige verso un angolo del muro dove è appoggiata una lastra quasi invisibile di vetro, le luci si spengono e si sente il rumore del vetro che cade a pezzi. Le luci si riaccendono, l'artista è a terra in posizione fetale, si alza, si dirige verso un angolo della stanza e comincia a giocare con un gioco infantile, tipo Lego, posato sul pavimento. Prende una scheggia di vetro e si incide l'avambraccio. La ferita disegnata segue la traccia delle forme che compongono il gioco, a terra.(L.Vergine, Gina Pane, la cocaina e Fra Angelico, in rivista Bologna, 1976, pp. 33-34, http://www.artslab.com/data/img/pdf/025_30-34.pdf)


1. Gina Pane (Biarritz, 1939- Paris ,1990) comincia il suo percorso dalla pittura all’Ecole nationale supérieure des beaux-arts a Parigi dal 1961 al 1966, poi al l’Atelier d’art sacré di Edmée Larnaudie (tra 1961-1963) , mentre dal 1975 al 1990 insegna pittura all'Ecole de Beaux Artes di Le Mans. In contemporanea, nel 1978, crea un atelier di performance al Centre Georges Pompidou. Per il ruolo della pittura e del colore, lè ricca di materiali la mostra che si è da poco tenuta al Mart di Rovereto e il volume-catalogo, Gina Pane (1939-1990). È per amore vostro: l'altro, a cura di Sophie Duplaix con la collaborazione di Anne Marchand, Actes-Sud, Arles 2012. Nei suoi scritti anche la composizione della pagina è significativa: attribuisce un certo valore allo spazio, o ritorna alla linea; di tanto in tanto si ritrova una sola frase su una pagina interamente bianca, cfr. Gina Pane, Lettre à un(e) inconnu(e), Paris 2004, edizioni ENSBA (Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts), collection Ecrits d’artistes, testi raccolti da Blandine Chavanne et Anne Marchand, con la collaborazione di Julia Hountou.











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